GROTTE DEL BUE MARINO
Aperte ormai dagli anni '50, le grotte del Bue Marino rappresentano
una meta da visitare per chi è in vacanza nella costa est della
Sardegna. Le grotte devono il loro nome alla foca monaca (che in
sardo viene definita bue marino), che un tempo abitava appunto nella
zona e veniva a partorire proprio all'interno delle grotte. Le grotte
del Bue Marino sono suddivise in due parti: una visitabile solo
tramite autorizzazione e una aperta al pubblico. Una passeggiata
della durata di circa mezz'ora consente ai visitatori della parte
di grotte aperta a tutti di ammirare il grande lago salato (con
oltre 1 Km di superficie è tra i più grandi del mondo), le particolari
stalagmiti e stalattiti di diversa tonalità, i numerosi fossili
e anche alcuni graffiti del Neolitico rappresentanti figure umane
danzanti. La visita guidata si conclude nella splendida spiaggia
delle foche: posta all'interno di una grande sala naturale, deve
il suo nome al fatto che le foche venivano proprio qui per partorire
i loro cuccioli. Le grotte del Bue Marino si possono raggiungere
solo in barca, meglio se tramite uno dei barconi organizzati che
partono dal porto di Cala Gonone, distante dalle grotte circa 4
km (i biglietti sono acquistabili direttamente al porto). Il viaggio
di arrivo alle grotte dura circa mezz'ora e consente di ammirare
lo splendido panorama fatto di acque cristalline e scogliere che
cadono a strapiombo sul mare. Il piccolo ma grazioso museo civico
archeologico è ospitato nei locali delle scuole elementari lungo
la strada principale del paese (via Lamarmora). Custodisce nelle
vetrine delle sue sale, i materiali ritrovati nelle innumerevoli
grotte e siti archeologici. Una collezione di punte di frecce in
selce e ossidiana introduce il visitatore in un viaggio a ritroso
nel tempo.
Le fini e decoratissime ceramiche del neolitico, un idolo
in osso, dei brassard per proteggere il polso degli arcieri, gli
strumenti di scavo, le asce e le lame in pietra, un resto di pasto
votivo conservato dentro ciotole ritrovate in grotta documentano
la vita quotidiana dei popoli preistorici. Continuando nella visita
si scoprono le vetrine dedicate alla civiltà nuragica. Qui sono
esposti i ritrovamenti provenienti dai siti archeologici: le funzionali
matrici di fusione in steatite che servivano a forgiare le punte
di lancia in bronzo, un simbolo fallico in pietra a testimoniare
l'importanza del culto della fertilità, una grande quantità di fusaiole
necessarie per la trasformazione e lavorazione della lana. L'esposizione
dei monili di fattura fenicia, ritrovati a più di cento mt. di profondità
nell'Abisso delle Vergini della grotta di Ispinigoli, ricordano
gli sbarchi nelle coste sarde delle veloci navi di questo popolo
di navigatori e commercianti. Collane composte da decine di vaghi
in pasta vitrea colorata ed eleganti orecchini, impreziosiscono
le vetrine della seconda sala del museo dove destano interesse i
vari utensili in bronzo (una campanella votiva, spille, spilloni,
asce coi margini rialzati) e i reperti scoperti nelle grotte che
conservano i segni dell'attività carsica con sorprendenti effetti
estetici che valorizzano i manufatti.
Il Parco Museo "S'ABBA FRISCA" prende il nome dall'omonima
sorgente. L'itinerario si compone di due aspetti: uno naturalistico
e l'altro etnografico, che si intrecciano in un unico percorso,
quasi a voler ricreare l'equilibrio tra il mondo naturale e l'uomo:
nell'uso di piante officinali, di frutti, cortecce e quant'altro
la saggezza popolare abbia ritenuto "utili" alle proprie attività
e alla sopravvivenza. All'interno del Museo vi sono oltre 3000 pezzi
della civiltà contadina dislocati in circa 15 ambienti fedelmente
ricostruiti. Di notevole interesse un torchio, risalente alla fine
del seicento. Ampio spazio è dedicato al frantoio del settecento
per la lavorazione dell'olio: interamente in pietra, con un'unica
grossa ruota centrale, veniva azionato dalla trazione animale; successivamente
(circa 90 anni fa), è stato adattato all'energia elettrica.

Tra gli spazi museali "Su cuile de Ziu Abiu", che risale a circa
ottant'anni fa, parzialmente ristrutturato e realizzato interamente
in pietra basaltica e legno di ginepro. La forma circolare della
costruzione a secco richiama le tipiche costruzioni nuragiche.
In prossimità della vera e propria struttura museale fanno
da bordura alcune piante officinali tra cui la Glicyrrhiza glabra
L. o Liquirizia, Erbaccia perenne della valle del Cedrino, di cui
si utilizzava la radice contro le bronchiti e i disturbi gastrici.
Tra le piante tintorie: il noce, il leccio, la filirea, l'alaterno,
l'erica, il rovo, il dafne gnidio e altre, che venivano utilizzate
per la colorazione della lana. L'olivastro millenario domina lo
spazio circostante, mentre due gelsi stanno a testimoniare la cultura
e la tradizione dell'allevamento del baco da seta a Dorgali. Fanno
inoltre da cornice: fontane, cascate, giochi d'acqua e camminamenti
megalitici. Di particolare interesse, dal punto di vista faunistico,
la presenza nel laghetto di alcuni esemplari di Emis Orbicularis
Linnaeus, 1758 Testudinati - Emidi o Testuggine d'acqua dolce o
palustre. Inoltre, nel mese di settembre è possibile vedere l'Ardea
cinerea cinerea Linnaeus, 1758 Ciconifomi - Ardeidi o Airone cinerino.